Questa prima tappa della Via Francigena nel sud dell’Italia è caratterizzata da tanta bellezza quanta difficoltà: l’antica Via Appia che fa da cornice al passaggio millenario dei pellegrini di un tempo e di oggi è un percorso spesso accidentale che richiede la massima cautela. Quindi sul basolato e sui bypass laterali andate lentamente, in pieno spirito Cammino, e godetevi il viaggio.
Usciti da Roma, percorsa parte di questa antica via di peregrinazione, subito dopo aver superato l’incrocio con via di Fioranello, il percorso inizierà con una strada bianca che in breve diventa basolato con tratti di bypass laterali un po’ sconnessi. A distanza di circa 700 m dall’incrocio troverete uno sbarramento con pietre grosse con un piccolo varco di circa 70 cm. Consigliamo di affrontare l’intero tratto fino a via Capanne di Marino con assistenza.
Da via Capanne di Marino a via di Palaverta (dove è sito il parcheggio di Frattocchie) il tratto è compromesso da diverse difficoltà:
Da qui a Bolsena purtroppo il percorso è compromesso da diverse difficoltà:
Questo tratto potrebbe essere comunque percorso ma non in autonomia. Vi consigliamo quindi la variante costruita, su asfalto, poco trafficata e con spesso marciapiede laterale percorribile.
Altra importante difficoltà è il raggiungimento in quota di Castel Gandolfo: alcuni tratti in salita, sebbene percorribili con una trazione elettrica, sono molto ripidi. Meglio condividerli con un amico o un fortuito pellegrino di passaggio.
Il borgo, il panorama ripagheranno un arrivo sofferto.
Buon Cammino!
Luoghi di particolare interesse
Criticitá sul percorso accessibile
Attraversamento di Roma non sempre dotato di marciapiedi e quando ci sono non tutti hanno il raccordo con la sede stradale
Tratti di basolato a volte lunghi (da poche decine di metri a qualche km)
Mancanza di bypass laterali su percorso stabilizzato
Restringimenti della carreggiata in area che dovrebbe essere pedonale ma in realtà è soggetta a traffico veicolare
Sbarramenti al passaggio veicolare privi di varco in sicurezza
Passaggi in muratura di strette dimensioni
Tratti su sedimi sdrucciolevoli
Solchi nel terreno di grandi dimensioni
Pendenze importanti su asfalto in salita dovute all’orografia del territori
Se hai segnalazioni o suggerimenti puoi contribuire scrivendo una mail a info@freewheelsonlus.com
È l’umore di chi la guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma.
Clarice farfalla suntuosa sgusciava dalla Clarice crisalide pezzente; la nuova abbondanza faceva traboccare la città di materiali edifici oggetti nuovi; affluiva nuova gente di fuori; niente e nessuno aveva più a che vedere con la Clarice o le Clarici di prima; e più la nuova città s’insediava trionfalmente nel luogo e nel nome della prima Clarice, più s’accorgeva d’allontanarsi da quella, di distruggerla non meno rapidamente dei topi e della muffa: nonostante l’orgoglio del nuovo fasto, in fondo al cuore si sentiva estranea, incongrua, usurpatrice.
Più volte decadde e rifiorì, sempre tenendo la prima Clarice come modello ineguagliabile d’ogni splendore, al cui confronto lo stato presente della città non manca di suscitare nuovi sospiri a ogni volgere di stelle.
La memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere
Quello che lui cercava era sempre qualcosa davanti a sé, e anche se si trattava del passato era un passato che cambiava man mano egli avanzava nel suo viaggio, perché il passato del viaggiatore cambia a seconda dell’itinerario compiuto, non diciamo il passato prossimo cui ogni giorno che passa aggiunge un giorno, ma il passato più remoto.
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Ricominia il viaggio